Giovanni Bianchi, in arte Poteca, è nato a Fontana Liri (1923/2001) in provincia di Frosinone. E’ un pittore autodidatta. Ha esordito nel 1969, dopo aver maturato e sviluppato anni di studio ideando uno stile pittorico proprio. Una tecnica dal tocco rapido di struttura impressionista ordita all’interno di un impianto progettuale tutt’altro che improvvisato. Concettualmente Poteca appare un caparbio realista, candido e sognatore. Ha partecipato a numerose esposizioni collettive, premi e mostre personali. Inoltre ha ideato diverse esposizioni a tema come “La festa e la Madonna“, “Isola, Sora e Castelluccio”, “Anche questo è amore”, “C’era una volta”, “Fiori e davanzali” ,” Poteca e i “ suoi “ Promessi Sposi”,” Su e giù per la Ciociaria”. La pittura e le tematiche di Poteca sono soprattutto legate alla terra del basso Lazio e alla sua storia. Tra i soggetti preferiti ci sono le campagne del frusinate, i fiumi, i paesaggi, le località, le tradizioni, la gente. Ha iniziato a lavorare alla illustrazione dei Promessi Sposi il 7 novembre 1979 ed ha impiegato tre anni per realizzare le opere. L’autore li ha adattati alla propria sensibilità tutta permeata dalla poesia delle cose semplici e della terra di Ciociaria a lui cara, tanto da essere riferimento costante per le sue opere. I suoi lavori figurano in collezioni private in Italia e all’estero (Polonia – Francia – Stati Uniti – Germania, ecc.) Hanno scritto di lui numerosi critici d’arte, riviste specializzate e quotidiani. E’ stato recensito sul Catalogo degli Artisti Lazio – Serie Arte Contemporanea Vol.3 –UNEDI -Unione Editoriale per la diffusione del libro-1979.
Artista versatile, Vincenzo Bianchi ha raggiunto la notorietà per la sua capacità creativa e le rivoluzionarie innovazioni attuate nella tecnica delle "letture" espressive. Nato il 28 maggio 1939 a Fontana Liri, da vari anni si è trasferito a Isola del Liri per motivi di famiglia e di lavoro. La sua carriera artistica lo ha visto professore di scultura nelle Accademie di Catanzaro, Frosinone e Urbino e Direttore dell'Accademia di Belle Arti di Macerata. Attualmente è titolare della cattedra di scultura all'Accademia di Belle Arti di Firenze. La sua attività iniziò con la pittura: le prime opere, ispirate in massima parte dal Cristo in croce e da molti clowns, rivelarono presto in lui un estro non comune. Nella scultura usa indifferentemente, anche accoppiati, il legno, la pietra, il rame e altri materiali, anche argento e oro. Per trasferire più fedelmente possibile sui materiali le sue percezioni e per dare un'anima alla stessa materia, Bianchi esperimenta e utilizza con singolare perizia - una molteplicità di tecniche espressive fino a ieri impensabili. Umberto Mastroianni scrive di Bianchi che è "pittore, scultore, animatore di energie rivoluzionarie... Egli vive di vibrazioni allucinanti che mirano a rappresentare l’inconscio". Caposcuola de "I nuovi Primitivi", Bianchi è suggestionato dal misterioso mondo della preistoria: in particolare ha approfondito le sue conoscenze sulla civiltà, la cultura e la mitologia degli aborigeni australiani, trasferendo il fascino del mito antico nelle sue opere, concepite e proiettate verso nuove realtà. Altro elemento di attrazione per il Bianchi è il cosmo, di cui si sforza di penetrare i concetti e la stessa essenza. Novello Prometeo, egli ruba raggi di energia al cielo e con il laser, che nelle sue mani diventa magico strumento per scolpire e rappresentare immagini tridimensionali, preludio - a suo dire - per la scoperta della quarta dimensione, concepisce e realizza opere di grande portata. Questo suo personale linguaggio espressivo gli ha meritatamente assicurato un posto di rilievo nell'arte contemporanea, l'interesse di critici d'arte, lusinghieri riconoscimenti in Italia e all'estero. Le sue opere, in genere, racchiudono chiari aneliti di indipendenza, messaggi di libertà e proposte di fratellanza universale. Molte di esse sono esposte, oltreché in Italia, in Australia, Giappone, Canada, U.S.A., Tunisia, Messico, Grecia, Francia. Una collezione è nel Museo dell'Informazione di Senigallia. Al Museo della Resistenza di Arcevia è dedicata allo scultore un'apposita sala permanente. Numerosa e varia è la produzione di disegni, tempere, serigrafie, incisioni, sculture, terrecotte, gioielli, pirografie, sbalzi in oro e argento. Dice di lui Carlo Emanuele Bugatti: "La sua mano è esercitata in tutte le tecniche, piega tutti i materiali alla forma voluta, possiede molti talenti e li sa orchestrare al fine estetico". Lo scultore tra altre numerose opere ha realizzato il Nuovo Icaro, un'opera di grandi proporzioni (alta 7 metri e mezzo nel formato originale) ispirata all'Europa libera e alla Pace, destinata all'ingresso del Parlamento europeo di Strasburgo e, in formato ridotto, alla piazza di Ventotene. Un lavoro particolarmente originale, dedicato alla pace, è stato realizzato da Bianchi e dai suoi allievi a Cervara di Roma dove, sulle pareti rocciose che sovrastano la Rocca Medievale, sono stati scolpiti volti umani, immagini enormi e simboliche figure di animali. Una singolare scultura monumentale in bronzo di Bianchi è La porta della luce (m. 17x42x9) commissionatagli dalla Sister Cities Italia e presentata negli Stati Uniti nel luglio 1988. L'opera, che nel giro di un ventennio verrà dislocata nel cinque continenti e che dovrà suscitare e promuovere iniziative umanitarie a livello mondiale, simboleggia gli aneliti di riconciliazione e di solidarietà di tutti i popoli della terra. Attualmente lo scultore sta lavorando ad un monumento da collocare a Ventotene. Vincenzo Bianchi sta passando da un successo all'altro e, invitato in Giappone, terrà quanto prima una serie di conferenze in varie città giapponesi su temi artistici e culturali. Ultima opera in ordine di tempo del nostro estroso artista è la statua in marmo del Tibet posta lungo la strada che dalla provinciale Fontana Liri-Santopadre porta alla contrada Montenero Ai confini con il Comune di Roccadarce. L’opera Pensiero per Mariano e Savina ... I sassi della strada della resistenza ... fa parte di una serie di monumenti sulla resistenza da collocare sul percorso ideale Fontana Liri-Vallemaio.
Soprano - Protagonista di opere mozartiane, verdiane e pucciniane su importanti palcoscenici italiani ed europei il soprano Maria Luigia Borsi ha già avuto modo imporsi a livello internazionale come una delle cantanti più interessanti della sua generazione. Nata a Sora, ma originaria di Fontana Liri, dove ha vissuto i primi anni della sua infanzia, Maria Luigia Borsi ha studiato con Antonietta Stella, Lucia Stanescu, Claudio Desderi, e Renata Scotto. Recentemente ha riscosso grande successo cantando alla chiusura delle Olimpiadi Speciali a Shanghai ed ha letteralmente incantato il pubblico mondiale nella serata che l’ha vista protagonista insieme ad Andrea Bocelli nella manifestazione in Piazza Duomo a Milano per l’apertura dell’EXPO. Soprano lirico puro, interprete raffinata, Maria Luigia, figlia di unferroviere e di una educatrice per disabili, ha vissuto la sua infanzia a Fontana Liri. Trasferitasi poi in Toscana, è tornata al suo paese dove vivono i suoi parenti ed amici ogni volta che le è stato possibile e, da qualche anno, partecipa alla manifestazione Fontana liri…ca che qui si organizza in estate. E’ sposata con il violinista americano Brad Repp. Ha iniziato la sua carriera sul palcoscenico del Teatro alla Scala interpretando il ruolo di Liù nella Turandot. In seguito ha debuttato a Venezia per la storica riapertura del Teatro La Fenice, interpretando il ruolo di Violeta nella Traviata diretta da Lorin Maazel. È apparsa in teatri quali Salzburg Festival, Opernhaus di Zurigo, Berlin Philharmonie, Deutsche Oper di Berlino, Gran Teatre del Liceu di Barcelona, New National Theatre di Tokyo, Arena di Verona, Royal Danish Opera, Cincinnati Opera, Les Chorégies d’Orange, Novaya Opera di Mosca. Ha collaborato inoltre con la London Philharmonic Orchestra, la Vienna Philharmonic, l’Israel Philharmonic Orchestra, la London Symphony Orchestra, la Scottish Chamber Orchestra, la Rotterdam Philharmonic, la Tokyo Philharmonic, la Münchner Philharmoniker e la Seoul Philharmonic. Ha collaborato con prestigiosi direttori d’orchestra, fra i quali Riccardo Muti, Zubin Mehta, Lorin Maazel, Myung-Whun Chung, Yannick Nézetù-Séguin, Michel Plasson, Maurizio Benini, Carlo Rizzi, Yves Abel, Andrés Orozco-Estrada e Robert Spano. La sua discografia annovera una registrazione live del Don Giovanni di Mozart con la direzione di Zubin Mehta (Helicon), un DVD live della IX Sinfonia di Beethoven con Lorin Maazel (Kultur), Turandot di Puccini (Fenice), Carmen con la regia di Franco Zeffirelli, e Maometto II (Marco Polo). A febbraio 2014, dopo tre anni di assenza dalla scena italiana, è ritornata sul palcoscenico del Teatro Carlo Felice di Genova per interpretare uno dei suoi ruoli d’elezione, Cio-cio-san, in una nuova produzione di Madama Butterfly. In seguito è ritornata alla Cincinnati Opera nuovamente protagonista di Madama Butterfly. Ha inaugurato la stagione 2014/15 interpretando con grande successo personale Desdemona nell’Otello all’Opera di Oviedo, in seguito è tornata in Italia per interpretare La Rondine (ruolo del titolo) a Lucca, Modena, Pisa, Livorno e Ravenna. Ha cantato inoltre la Nona Sinfonia di Beethoven con la Seoul Philharmonic Orchestra diretta dal Maestro Myung-Whun Chung. Fra i suoi prossimi impegni annovera le interpretazioni de La Rondine (ruolo del titolo) al Festival Puccini di Torre del Lago, La bohème (Mimì) alla Atlanta Opera, Messa da Requiem di Verdi a San Pedro e a Mosca, Madama Butterfly a Lucca, Livorno e Rovigo. Terrà inoltre concerti con la London Philharmonic Orchestra presso la Royal Festival Hall, con la Nordwestdeutsche Philharmonie di Herford e con la Czech National Symphony Orchestra di Praga. A settembre 2014 è uscito il suo primo album da solista, una selezione di arie operistiche, in collaborazione con Yves Abel e la London Symphony Orchestra per l’etichetta Naxos.
Alfredo Bovio Di Giovanni è nato a Fontana Liri (FR) l’11 giugno 1907 ed è scomparso a Napoli l’8 gennaio 1995. Al seguito del padre, dipendente della Pubblica Amministrazione quindi sottoposto a trasferimenti, tutta la numerosa famiglia, originaria di Sant’Agata dei Goti, modifica spesso la residenza, vivendo a lungo a Nord, tornando in Campania dal Piemonte prima ad Avellino e poi definitivamente, nel 1920, a Ercolano. I vari spostamenti senz’altro hanno influenzato il carattere curioso e vivace di Alfredo, che si predispone presto al viaggio come ricerca del suo spirito inquieto. Il suo interesse per l’arte figurativa si manifesta già negli anni della sua formazione scolastica, rivelando poco più che adolescente un carattere fermamente portato ad approfondire gli aspetti del linguaggio artistico che percepisce essere in gran fermento. Consapevole che le innovazioni avvengano rapidamente e ben oltre gli angusti orizzonti a lui familiari, animato dunque dal bisogno di conoscere da vicino il complesso, vitale mondo delle Avanguardie al di là delle Alpi, comincia a viaggiare per l’Europa. La sua prima tappa, nel 1930, è Parigi dove respira le atmosfere cariche di tensione create dall’olandese Vincent Van Gogh, viene quindi attratto dagli esponenti della corrente del Simbolismo che aveva scosso le certezze di fine Ottocento investendo, fino a tutto il primo decennio del Novecento, della nuova e confusa visione profondamente antimpressionista e più ampliamente antinaturalista il settore dell’attività estetica. Sono pittori come Edvard Munch (morto nel 1944) o Ferdinand Hodler (1853-1918) ad esercitare un gran fascino sul Nostro, che a sua volta trae come immediata reazione il capovolgimento della sua narrazione di stampo ancora naturalistico dei primi dipinti, per acquisire conoscenze e mezzi pittorici che risulteranno fondamentali per la sua successiva produzione artistica. Nel 1933 Di Giovanni si trasferisce a Monaco e si interessa alle opere del gruppo del Cavaliere Azzurro, italianizzazione del movimento del Der Blues Reiter. Creato a Monaco nel 1911 dal russo Vasilij Kandinskij, e F. Marc, ai quali si associarono subito i migliori e più attivi artisti contemporanei, fu un movimento di grande vitalità che andò presto disperso con l’inizio della prima guerra mondiale, già dunque nel 1914. Le idee innovative dei linguaggi e delle tecniche in ogni settore dell’espressione artistica, insieme alla teorizzazione di un’arte come trasposizione dell’interiore sentire dell’uomo, ebbero comunque molta diffusione, anche dopo la dispersione, nel mondo artistico e soprattutto influenzarono fortemente, proprio per la carica innovativa, il di lì a poco nascente Bauhaus. Il linguaggio dell’estetica del Blues Reiter, per l’ideologia che rappresentava e per il linguaggio artistico ampliamente condiviso perché libero da schemi, sopravvisse in molti seguaci, tra i quali possono annoverarsi lo svizzero Paul Klee, Max Ernst, Oskar Kokoschka, Jackson PollocK, statunitense (noto soprattutto per aver creato la tecnica dl dripping su tela, nel 1946), tutti artisti che hanno fortemente influenzato Di Giovanni, favorendo la trasformazione della sua concezione pittorica, in effetti ancora acerba, quindi della sua espressione artistica. Surrealismo e astrattismo sembrano essere, dunque, gli spunti o le basi di una cultura pittorica senz’altro europea che il Maestro esprimerà nelle sue opere. Spirito libero e passionale, parte nel 1935 per la Spagna e vive da protagonista il dramma della guerra civile, prendendone parte come volontario. Rientrato in Italia con lo scoppio del II conflitto mondiale, riparte ben presto per la Germania nella vana speranza di ritrovare un fratello (Alfredo aveva altri sei fratelli) disperso, deportato in uno dei campi di concentramento che non riuscì mai a identificare. Rientrato per poco, parte nuovamente per Parigi dove conosce Magnelli, Severini, Borsi e Campigli con i quali stringe rapporti di amicizia, un vero sodalizio di pittori italiani accomunati dall’esigenza di riconoscersi, ed essere riconosciuti anch’essi, partecipi del rinnovamento che ha riguardato la cultura europea prima della II Guerra mondiale. Nel 1936, spinto da un senso di ribellione verso la diffusione di ideologie che non condivide, si reca a Barcellona, dove ha modo di apprezzare la pittura di Francisco Goya. Il senso tragico della vita e della morte che traspira dalle opere del maestro spagnolo colpisce Di Giovanni, che ritrova nella pittura del Goya “quel modo di essere artista mediterraneo imbevuto dei problemi dei popoli del Sud” (cit dall’artista); tuttavia la sua attenzione ai moduli espressivi del Goya non lo condurrà ad adottare formule compositive stereotipe conformi al modello. Personalità di grande coerenza, il Maestro reinterpreta il grande autore in una sorta di arricchimento non solo iconografico, confermando in quegli anni la sua linea creativa, in autonomia, senza incertezze, restio come sempre sarà ad allinearsi a movimenti o correnti artistiche di moda, portato invece a rielaborare in modo tutt’affatto individuale i temi che più lo potevano coinvolgere. Nel 1948 soggiorna a Milano quindi nel 1954 si stabilisce definitivamente con la moglie Ida e i due figli nella città di Napoli. Il sottotetto mansardato, quasi un omaggio all’uso parigino, di un antico palazzo di Ercolano diventa da quegli anni il suo atelièr d’artista, condividendo gli spazi al piano con il suo amico Carlo Montarsolo, artista napoletano ben noto. Dal 1954 fino al 1985 si dedica completamente alla pittura con una fervida attività espositiva in molte città italiane, seguito dalla critica giornalistica; avara sempre di riconoscimenti proprio la città di residenza, Napoli, dove espone di rado. Di Giovanni non aveva preso in mano i pennelli come discepolo nelle aule della storica Accademia napoletana di Belle Arti, non seguiva linee tracciate in qualche modo dallo stesso mondo accademico, non si adeguava alle mode, coerente all’evoluzione di una sua ricerca del tutto individuale sull’arte visiva. Interrompe poco prima della morte della morte di sua moglie Ida l’attività espositiva, continua comunque a dipingere fino al 7 gennaio 1995, anno della sua morte lasciando, in quest’ultima produzione, i segni della maturità del suo fare artistico. I numerosi cataloghi e le altrettanto numerose mostre personali e collettive in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, la consacrazione della critica più autorevole, testimoniano che la figura di Alfredo Bovio Di Giovanni sia stata riconosciuta fra le più interessanti del Novecento.
Antonio Giannetti nacque a Fontana Liri il 1 settembre 1907. Trascorsa l'infanzia in paese e vari anni nei seminari di Aquino e di Sora, emigrò ancor giovane in Francia col padre e un fratello, in cerca di lavoro. Dopo alcuni anni di dura esperienza, Giannetti tornò in paese e riprese gli studi che per necessità aveva dovuto interrompere. Conseguito il diploma di abilitazione magistrale, insegnò come maestro di ruolo prima in alcuni paesi vicini, poi nelle scuole di Fontana Liri Superiore. In quel periodo si iscrisse alla Facoltà di Magistero di Roma e prima conseguì il diploma in Vigilanza scolastica, poi la laurea in Lettere. Durante l'occupazione tedesca, Giannetti accettò dal Prefetto della Provincia la nomina a Commissario del Comune per non lasciare che la popolazione di Fontana Liri - priva di amministratori perché si erano dati alla macchia - subisse soprusi da parte degli occupanti. Il suo alto senso civico fu male interpretato e al sopraggiungere degli alleati venne deportato, come prigioniero politico, nel campo di concentramento di Padula (Salerno), dove rimase per tre mesi. Scagionato da ogni addebito, rientrò a Fontana Liri e riprese l'insegnamento nelle elementari. In quegli anni Giannetti pubblicò "Origine e sviluppo storico di Fontana Liri" che poi in parte ripudiò e che nella sostanza rivela una naturale tendenza per la ricerca storica e l'interpretazione epigrafica. Nel 1956, nominato professore di lettere alla scuola media di Cassino, si trasferì lì con la famiglia. La familiarità con la lingua latina e la passione per l'indagine storica invogliarono Giannetti a interessarsi di archeologia e di epigrafia. Egli rivelerà che il desiderio di decifrare i testi epigrafici gli nacque il giorno in cui, recatosi con gli alunni a visitare la zona archeologica del rione Colosseo, a Cassino, incontrò serie difficoltà nella lettura e nella comprensione di alcune scritte latine. Ciò lo convinse che per intraprendere indagini archeologiche, era necessario affrontare e approfondire la conoscenza dell'epigrafia. Si dedicò con entusiasmo allo studio di questa scienza: instancabile e attento ricercatore, ha svelato molti misteri racchiusi nelle epigrafi e nei reperti archeologici della nostra zona da lui stesso riportati alla luce. Questi reperti - testimonianza del nostro passato, ricco di eventi di primaria importanza - dopo essere stati da lui illustrati con un linguaggio tecnico sempre di grande chiarezza, sono stati raccolti nell'Antiquario civico di Pontecorvo e nel Museo di Cassino. Antonio Giannetti è stato anche profondo cultore di problemi pedagogici e didattici. Particolarmente vasta e varia è la sua produzione letteraria. Egli ha collaborato autorevolmente a numerose riviste specializzate e a vari periodici di storia e archeologia. Si è spento a Cassino il 14 novembre 1994 e le sue spoglie riposano nel cimitero di Fontana Liri Superiore.
Marcello Mastroianni (nome completo all’anagrafe Marcello Domenico Vincenzo) nasce a Fontana Liri, provincia di Terra di lavoro (oggi provincia di Frosinone), il 28 settembre 1924 da Ottorino, impiegato presso il laboratorio chimico del locale Polverificio Militare, e da Ida Irolle, ex impiegata della Banca d’Italia.
La famiglia Mastroianni, originaria della vicina Arpino, è una famiglia di falegnami, di artigiani-artisti, che ha scelto di vivere a Fontana Liri perché il nonno di Marcello, Vincenzo, padre di dieci figli (tra cui Umberto, che diverrà scultore di fama internazionale), aveva qui un laboratorio di falegnameria e contemporaneamente lavorava come capo-modellista presso il Polverificio Militare da poco impiantato in paese.
Nel 1926 il nonno Vincenzo viene trasferito dal Ministero della Guerra, da cui dipendeva il Polverificio, all’Arsenale di Torino e in pochi anni porta con sé tutta la numerosa famiglia, fra cui Marcello, all’età di quattro anni, con la mamma. Ottorino cura ancora per qualche tempo gli interessi a Fontana Liri, visitando di tanto in tanto la famiglia a Torino e raggiungendola definitivamente nel 1930, dopo la nascita, il 7 novembre 1929, del secondo figlio, Ruggero (che diverrà uno dei più famosi montatori cinematografici italiani).
Gli anni di Torino si rivelano per la famiglia Mastroianni anni difficili, di grandi difficoltà economiche, dovute sia alla mancanza di lavoro, sia ai problemi di salute di Ottorino. Così, quando Marcello frequenta ancora le prime classi delle elementari, nel 1933, la famiglia si trasferisce di nuovo, questa volta a Roma, nel quartiere Tuscolano, dove il padre di Marcello apre insieme al nonno Vincenzo una bottega di falegname. Marcello conclude le elementari presso l’Istituto A. Diaz in Piazza Lodi e si iscrive all’Istituto di Avviamento professionale Duca d’Aosta in Via Taranto, che a quel tempo ospitava una sezione del Centro Sperimentale di cinematografia. Mentre è ancora studente, mosso dalla passione per la recitazione, manifestata già dall’infanzia, inizia quasi per gioco a recitare negli spettacoli allestiti nell’Oratorio della parrocchia dei Santi Fabriano e Venanzio e poi in una Filodrammatica del suo quartiere.
Il sogno di fare l’attore lo porta ben presto a frequentare gli Studi di Cinecittà e, tramite i “buoni” per fare le comparse offertigli da amici che gestivano un ristorante all’interno della struttura (la famiglia Di Mauro), nel 1938 partecipa come comparsa in Marionette di Carmine Gallone, con Beniamino Gigli e Carla Rust e nel ’40 in Tosca, diretto da Jean Renoir e Carl Koch, assistente Luchino Visconti. Viene poi scritturato da Alessandro Blasetti per una parte ne La corona di ferro (1941) e da Mario Camerini in Una storia d'amore (1942).
A Cinecittà, durante le pause delle riprese, cerca insistentemente di farsi presentare a Vittorio De Sica, già regista affermato, tramite segnalazioni della sorella del regista, ex collega di sua madre presso la Banca d’Italia. Dopo varie insistenze e vari dinieghi, riesce ad ottenere di partecipare come comparsa nel film I bambini ci guardano (1943).
Nel 1943 consegue il diploma di perito edile presso l’Istituto Tecnico-Industriale Carlo Grella, oggi Galileo Galilei, e quindi si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio, non tanto per conseguire la laurea, quanto con l’obiettivo di entrare nel C.U.T. (Centro Universitario Teatrale presso l’Università di Roma Studium Urbis), frequentato a quel tempo da registi e attori fra più prestigiosi del momento. È questa l’unica possibilità per lui di recitare in teatro.
Per mantenersi agli studi trova lavoro come disegnatore presso il Comune di Roma e nello stesso anno, per evitare la chiamata alle armi, partecipa a un concorso presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze e viene assunto come cartografo.
Dopo gli eventi dell’8 settembre 1943 l’Istituto viene assorbito dall’Organizzazione Todt e spostato dai Tedeschi a Dobbiaco, per poi essere trasferito in Germania. Marcello lascia l’Istituto e, con un falso lasciapassare, insieme al pittore Remo Brindisi, fugge a Venezia, dove i due sbarcano il lunario vendendo ai turisti i disegni dei monumenti veneziani.
Dopo la Liberazione Marcello raggiunge di nuovo la famiglia a Roma e trova un impiego di contabile presso la casa di distribuzione cinematografica Eagle Lion Films.
Nell’immediato dopoguerra continua a recitare in vari teatri di Roma ( il Quirino, il Teatro delle arti, il teatro dell’Ateneo, il Teatro di via XX Settembre e di Via Piacenza) con vari registi: Lucio Chiavarelli (Liebelei, di Schnitzler, Vestire gli ignudi di Pirandello, Tutti i figli di Dio hanno le ali di O’ Neal); Mario Landi (Gli Indifferenti di Moravia); Anna Maria Rimoaldi (I dieci piccoli negretti da un racconto di Agatha Christie). Interpreta, è vero, piccoli ruoli, ma tali che comunque gli danno la possibilità manifestare il suo talento e di acquistare visibilità nell’ambiente dei teatri romani.
Nel 1947 interpreta la parte di un giovane rivoluzionario, un vero e proprio ruolo, anche se secondario, nel film I Miserabili di Riccardo Freda: è con questo film che inizia la lunga, ricca, filmografia di Marcello Mastroianni. Ma la sua vera attività di attore inizia in teatro, al CUT, dove era stato ammesso nel ’46 per interessamento di Giulietta Masina, e dove nel 1948 ottiene il ruolo di Orlando, accanto a lei, Angelica, nella commedia Angelica di Leo Ferrero. L’interpretazione di Mastroianni, anche se la sua è una parte secondaria, è molto apprezzata dal regista, dal pubblico e dalla critica e così egli viene scritturato nella Compagnia di Nino Besozzi.
Silvio D’Amico, presente a una rappresentazione, scrive che Marcello mostra un’entusiastica inesperienza.
In una replica della commedia viene notato da Emilio Amendola, amministratore della compagnia di Luchino Visconti, che andava alla ricerca di un giovane attore per una parte in Rosalinda o Come vi piace di W. Shakespeare. Presentato al regista e al suo assistente Franco Zeffirelli, Marcello è messo alla prova e quindi scritturato per la prima volta regolarmente: il debutto è al teatro Eliseo, il 26 novembre dello stesso anno.
Da questo momento, fino al 1956, Marcello fa stabilmente parte della compagnia Morelli-Stoppa-Visconti ottenendo ruoli sempre più importanti.
Il sodalizio con Luchino Visconti è fondamentale per la sua carriera artistica: lui, che non aveva mai frequentato né scuole di recitazione né accademie, capisce che con tale Maestro, severo ed esigente, a volte anche ingiurioso, può realizzare quell’esperienza che gli manca e che poi si rivelerà preziosa per la sua carriera di attore, non solo teatrale ma soprattutto cinematografico. «Certo, nel teatro, entrai dalla porta d’oro.- così dichiarerà Marcello- La compagnia diretta da Visconti era probabilmente la più importante di quegli anni: c’erano Rina Morelli, Paolo Stoppa, Vittorio Gassman […].Quelli furono certamente gli anni che mi hanno formato. La disciplina di Visconti, la sua grande esigenza, il suo perfezionismo (ma da artista!); i consigli ricevuti dai miei colleghi, specie da Rina Morelli, che mi proteggeva come una mammina: se so fare qualcosa, credo che lo devo molto a loro» (Marcello Mastroianni, Mi ricordo, sì, io mi ricordo, a cura di Francesco Tatò, Ed.Baldini & Castoldi, 1997, p. 47).
Tullio Kezich dirà che Mastroianni fu tirato su dal conte Visconti, ex allenatore di cavalli, con le durezze riservate a un purosangue.
Con Visconti Marcello muove i primi passi da attore e consegue i primi successi in teatro recitando, dopo Rosalinda, in altri nove spettacoli teatrali: Un tram che si chiama desiderio, di Tennessee Williams (in due edizioni , la prima all’Eliseo a Roma, nel 1949 e la seconda al Teatro Nuovo di Milano, nel 1951); Oreste di V. Alfieri (al teatro Quirino nel 1949); Troilo e Cressida di Shakespeare (al Giardino Boboli per il Maggio Musicale Fiorentino nel 1949); Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller (al Teatro Eliseo nel 1951); La locandiera di C. Goldoni (in due edizioni, nel 1951 al Teatro La Fenice di Venezia e nel 1956 a Parigi per il Festival delle Nazioni), Le tre sorelle (1952) e Zio Vanja di Čechov (1955) al Teatro Eliseo.
Il 12 agosto 1950 sposa Flora Carabella, figlia del musicista Ezio Carabella, anche lei attrice, collega nell’opera Un tram che si chiama desiderio.
Il 2 dicembre del 1951 nasce la prima figlia Barbara.
Nel frattempo, mentre si afferma sul palcoscenico e acquista sempre più visibilità e successo, Marcello è sempre più attratto dal cinema e continua a frequentare gli studi di Cinecittà lavorando in maniera febbrile e con interpretazioni sempre più importanti (spesso di giorno partecipa alle riprese e di sera recita in teatro).
Il suo grande talento, sostenuto dalla sua bellezza latina, umilmente smagliante, e dalla sorprendente fotogenia, emerge con una serie di interpretazioni nella parte del giovanotto simpatico, ingenuo e gioviale, corteggiato da ragazze maliziose, nei film di Luciano Emmer (Una domenica d'agosto del 1950, Parigi è sempre Parigi del 1951, Le ragazze di Piazza di Spagna del 1952, Il bigamo1956); di Claudio Gora ( Febbre di vivere del 1953); di Carlo Lizzani (Cronache di poveri amanti del 1954); di Giuseppe De Santis (Giorni d'amore del 1954).
Ricordando quest’ultimo film, in cui interpreta un giovane contadino ciociaro, così si esprime l’attore in un’intervista a Matilde Hochkofler: "Sono stato contento di fare questo contadinello simpatico nel film di De Santis, e poi c' era il ritorno un po' a certe origini perché si svolgeva in Ciociaria e io sono ciociaro. Fu un piccolo viaggio sentimentale in questa terra , è un film di cui conservo un bel ricordo".
Gli anni Cinquanta decretano il suo successo di attore cinematografico: in dieci anni gira quasi 40 film, con interpretazioni di livello sempre più elevato che lo portano a conquistare i primi riconoscimenti importanti e l’ammirazione del pubblico di tutte le età.
Tra i film più apprezzati di questa prima fase sono da ricordare : Peccato che sia una canaglia (1954) di Alessandro Blasetti (premiato con la Grolla d’oro) e Giorni d'amore (premiato con il Nastro d’argento del 1954 e con il Gran Premio per il miglior film al festival di San Sebastian nel 1955). Vanno anche ricordati, come film significativi di questo periodo, I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, Un ettaro di cielo di Glauco Casadio (1959), Adua e le compagne (1960) e Fantasmi a Roma, (1961) di Antonio Pietrangeli.
Nel 1957 è di nuovo diretto da Luchino Visconti, questa volta al cinema, in Le notti bianche, da F.M. Dostoevskij: è un’esperienza importante, nuova, che gli permette di sperimentare un diverso modo di fare regia da parte di Visconti e la diversa tecnica di recitazione tra teatro e cinema. Lavorerà di nuovo sotto la direzione di Visconti nel 1967 nel film Lo straniero, tratto dal romanzo omonimo di Camus e prodotto dalla Master Film, la casa produttrice fondata dallo stesso Mastroianni che aveva già prodotto Spara forte, più forte…non capisco! (1966) di Eduardo De Filippo, tratta dalla commedia Le voci di dentro dello stesso autore. Dopo la produzione di questi due film la Master Film chiuderà i battenti.
Gli anni cinquanta vedono nascere il sodalizio artistico, ma anche l’affettuosa amicizia, con Vittorio De Sica (per il quale Marcello ha avuto fin dai primi anni un’ammirazione particolare) e Sofia Loren: soprattutto sotto la direzione di De Sica Marcello e Sofia realizzano un’intesa perfetta che consentirà loro di girare nell’arco di quaranta anni, con diversi registi, ben undici film, undici veri capolavori: Tempi nostri -Zibaldone n. 2,1954 di Blasetti; La bella mugnaia,1955 di Mario Camerini; La fortuna di essere donna, 1956 di Alessandro Blasetti; Ieri, oggi, domani,1963 di Vittorio De Sica; Matrimonio all'italiana ,1964 di Vittorio De Sica; La moglie del prete, 1970 di Dino Risi; I girasoli, 1970 di Vittorio De Sica; Una giornata particolare,1977 di Ettore Scola; Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova.Si sospettano moventi politici, 1978 di Lina Wertmüller;Prêt-à-Porter,1994 di Robert Altman. In quest’ultimo film Altman ripropone dopo molti anni, in chiave ironica, la scena famosa dello spogliarello di Sofia.
Lo stesso Marcello definisce questo periodo forse il momento più bello non solo della mia vita di attore ma della mia vita di uomo. E il lavoro di attore lo definisce il lavoro più bello del mondo perché` non si cresce mai, si viene accuditi, truccati, guidati, si può fare eternamente i bambinoni, interpretare i propri sogni…”.
Ma il momento felice della vita artistica di Marcello deve ancora arrivare!
Esso si realizza con l’incontro con Federico Fellini, che nel 1960 gli propone di interpretare il ruolo del protagonista ne La dolce vita e con il suo metodo di lavoro, creativo e giocoso, fa emergere tutte le potenzialità dell’attore, gli fa vivere quella che egli stesso definisce “l’avventura meravigliosa, l’esperienza più esaltante della mia carriera e della mia vita, in senso assoluto…. Sin da quando iniziammo a girare, ebbi l’impressione che avrei preso parte a un evento eccezionale, e così fu, anzi a quella prima impressione corrispose una stupefazione sempre maggiore. Fu qualcosa di irripetibile…”.
Marcello vive un momento di grande tensione, prova il brivido del cambiamento, prende coscienza delle sue straordinarie capacità e della sua maturazione artistica, spicca il volo e da attore italiano diventa divo internazionale: da questo momento aggiunge fascino alla sua immagine, è capace di affrontare qualsiasi ruolo, si afferma come l’attore più rappresentativo del cinema italiano del dopoguerra, diventa l’attore italiano più riconoscibile nel mondo, il più imitato, il non ancora uguagliato. L’incontro con Fellini, il successo de La dolce vita, con il prestigioso Nastro d’argento, lo avvicinano sempre di più a un lavoro maggiormente creativo e personale. Con Fellini raggiunge un’intesa perfetta e un’amicizia fraterna che gli consente di incarnare le insoddisfazioni, le carenze, le debolezze che mettono in crisi l’artista e di divenire il suo alter ego in Otto e mezzo (1963), il film più complesso e impegnativo, ma anche il più estasiante della sua carriera artistica, della carriera artistica di Federico Fellini e, si può dire, del cinema italiano. Con Fellini realizza altri tre capolavori: La città delle donne (1980), Ginger e Fred (1986) e Intervista (1987).
A partire dagli anni Sessanta il nostro attore perde la sua aria provinciale, interpreta ruoli sempre più diversi, frutto di uno studio accorto e puntuale: così passa man mano dal semplice contadinello ciociaro di De Santis, dal tassista bello e simpatico e dai ruoli stereotipati dei primi film, al “cittadino”, all’intellettuale, al giornalista, al professore, all’uomo di mondo, rappresentando con la stessa disinvoltura il bello, il brutto, il ridicolo, il giovane, il vecchio, perfino l’omosessuale o l’uomo incinto.
Subito dopo La dolce vita diventa l’attore italiano più ricercato e più amato nel mondo: nel 1962 è sulla rivista americana Time con un servizio speciale dedicato all’attore straniero più apprezzato e ammirato, viene premiato al Festival di Mosca e viene invitato a presentare con Fellini 8 1/2 al Festival Theatre di New York. È la prima volta che si reca in America, dove visita le città più importanti, incontra tanti attori, si reca a Hollywood e a Los Angeles e ottiene un successo eccezionale da parte del pubblico e dei cineasti americani. Ma non si lascia sedurre dal cinema americano e rifiuta qualsiasi proposta di lavoro.
Nel ’65 a Roma si trasferisce in una villa lussuosa, in via di porta S. Sebastiano.
Ora è preso da un’attività cinematografica febbrile: poliedrico e fantasioso, è ricercato dai registi più importanti e impegnati, già conosciuti o nuovi, dai quali si lascia dirigere per film di qualsiasi genere, per personaggi più disparati, indimenticabili.
Con molti registi instaura rapporti di profonda stima e affettuosa amicizia, che renderanno il suo lavoro più piacevole e creativo e che dureranno anche fuori dal set , per tutta la vita. Così nascono i suoi capolavori con Mauro Bolognini (Il bell'Antonio, 1960; Per le antiche scale, 1975); Michelangelo Antonioni (La notte, 1961); Elio Petri (L'assassino, 1961; La decima vittima, 1965; Todo modo, 1976); Pietro Germi (Divorzio all'italiana,1961); Valerio Zurlini (Cronaca familiare, 1962); Mario Monicelli (Vita da cani,1950 di Monicelli e Steno;Il medico e lo stregone, 1957; Padri e figli, 1957; I soliti ignoti, 1958; I compagni, 1963; Casanova '70, 1965; Le due vite di Mattia Pascal, 1985); Vittorio De Sica (Ieri, oggi, domani, 1963; Matrimonio all'italiana, 1964; Amanti, 1968; I girasoli, 1970); Dino Risi (Il viale della speranza, 1953; La moglie del prete, 1971; Mordi e fuggi, 1973; Fantasma d’amore, 1981); Marco Ferreri (L’uomo dei cinque palloni, 1965; Break-up, riedizione integrale dell'episodio di Oggi, domani e dopodomani, 1965; La cagna, 1972; La grande abbuffata, 1973; Non toccare la donna bianca, 1974; Ciao maschio, 1978; Storia di Piera, 1983); Luigi Comencini (La valigia dei sogni, 1953; La donna della domenica, 1975; L'ingorgo - Una storia impossibile, 1978); Lina Wertmüller (Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova, si sospettano moventi politici, 1978); Ettore Scola (Dramma della gelosia - tutti i particolari in cronaca, 1970; Permette? Rocco Papaleo, 1971; Una giornata particolare, 1977; La terrazza, 1980; Il mondo nuovo, 1982; Maccheroni,1985; Splendor,1989; Che ora è?,1989; Paolo e Vittorio Taviani (Allonsanfan, 1974); Francesca Archibugi (Verso sera, 1990); Liliana Cavani (La pelle, 1981; Oltre la porta, 1982); Marco Bellocchio (Enrico IV, 1984); Giuseppe Tornatore (Stanno tutti bene, 1990).
Nel 1966 Marcello decide di tornare al teatro con un genere nuovo per lui, la commedia musicale: per circa tre mesi canta e balla al Sistina interpretando con la regia di Garinei e Giovannini il ruolo di Rodolfo Valentino in Ciao Rudy, lavoro che però non conclude, pagando un’alta penale, perché chiamato di nuovo da Fellini per girare Il viaggio di G. Mastorna. Sfortunatamente questo film non verrà realizzato e Mastroianni, per recuperare la somma pagata, accetta di girare Il papavero è anche un fiore di Terence Young.
Nel 1968 sul set di Amanti di Vittorio De Sica incontra Faye Dunaway, la protagonista femminile, con la quale avrà una storia sentimentale.
Dal ’68 al ’70 è spesso negli USA e a Londra; qui gira Diamanti a colazione (Diamonds for breakfast), diretto da Christopher Morahan e Leone l’ultimo di John Boorman .
Nel 1971 gira con la regia di Luigi Magni Scipione detto anche l’Africano, film in cui per la prima e l’unica volta recita come attore il fratello Ruggero, il montatore cinematografico, nelle vesti di Scipione Emiliano: fratelli anche nel film i due Mastroianni vivono un’esperienza singolare, molto divertente insieme a Silvana Mangano, amica e amore giovanile di Marcello.
Dal 1971 al 1974 Marcello si trasferisce a Parigi, città che lo conquista fino a diventare la sua patria d’elezione, dove ha una relazione con l’attrice Catherine Deneuve, dalla quale il 28 maggio del 1972 nascerà la figlia Chiara, che diventerà anch’essa attrice. Con la Deneuve interpreta: Tempo d’amore (Ça n’arrive qu’aux autres) di Nadine Marquand Trintignant (1972), e La cagna (girato in Italia nel 1972), La grande abbuffata (La grande bouffe),1973 e Touche pas à la famme blanche (Non toccare la donna bianca), 1974, tutti e tre diretti da Marco Ferreri.
A Parigi Marcello, a suo agio per l’ambiente culturale e la compagnia degli amici, ma anche per la lontanza dai clamori giornalistici, risiederà per periodi più o meno lunghi, anche dopo che il rapporto con Catherine Deneuve si interrompe, vivendo anche un’intensa attività cinematografica e teatrale.
In Francia Marcello interpreta ancora Che? di Roman Polanski nel 1972, Salute l’artiste (L’idolo della città) di Yves Robert 1973, L’evenement le plus importante depuis que l’hommea marché sur la Lune (Niente di grave, suo marito è incinto), 1973 di Jacques Demy.
Ormai Marcello è attore internazionale: il suo carattere docile e le sue notevoli capacità espressive gli consentono di entrare in sintonia anche con molti prestigiosi registi stranieri che lo vogliono protagonista nei loro film, nei quali egli si sforza di doppiare se stesso anche in lingue che non conosce, come l’inglese, il russo o il greco. Tra i registi internazionali, alcuni conosciuti già negli anni Cinquanta, oltre ai già citati registi francesi, non si possono non ricordare per la qualità e il successo dei film Jules Dassin,(La legge 1959); Louis Malle (Vita privata, 1961); Bruno Barreto (Gabriela, 1983); Pál Sándor Miss Arizona, 1987); Christian de Chalonge (Il ladro di ragazzi, 1991); Roman Polanski (Che?, 1972); George Pan Cosmatos (Rappresaglia, 1973); Theo Angelopulos (Il volo, 1986, Il passo sospeso della cicogna,1991); Nikita Mikhalkov (Oci ciornie, 1987); Gene Saks (Cin Cin, 1990); Maria Luisa Bemberg (Di questo non si parla, 1992); Beeban Kidron (La vedova americana (Used People),1992); Bertrand Blier (Uno, due, tre, stella!, 1993); Robert Altman (Prêt-à-porter, 1994); Raul Ruiz (Tre vite e una sola morte, 1996); Manoel de Oliveira (Viaggio al principio del mondo, 1997).
Nel 1978 debutta con successo nello sceneggiato televisivo Le mani sporche, dall’omonimo dramma teatrale di Jean-Paul Sartre, prodotto dalla Rai in tre puntate con la regia di Elio Petri, che ne cura anche la traduzione dal francese e l'adattamento televisivo. Di nuovo gira per la televisione italiana nell’84 Le due vite di Mattia Pascal, con la regia di Mario Monicelli, sceneggiato liberamente tratto dal romanzo Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, realizzato in tre puntate per la TV, in seguito ridotto per un film.
Se il nome di Marcello Mastroianni è strettamente legato con il cinema, con il miglior cinema italiano, non bisogna dimenticare che nella sua vita artistica un ruolo fondamentale lo riveste il teatro, e non soltanto agli esordi, con Luchino Visconti, ma anche in seguito. Nonostante i pressanti impegni cinematografici egli spesso torna alla dieta teatrale, come lui stesso la definisce, perché sente il bisogno di fare un po’ di pulizia nel suo modo di recitare. «Questo è un mestiere meraviglioso: ti pagano per giocare. E tutti ti battono le mani. Sì, se hai un minimo di qualità. Ma che si vuole di più?....... Il cinema, nella sua generosità, non pretende molto dall’attore. Qualche volta fa troppo freddo o troppo caldo e le difficoltà finiscono lì. Magari è interessante, ma il rigore del teatro è un’altra cosa. Quando entri in questo tempio dove non c’è mai il sole, dove ogni virgola diventa importante, dove se sbagli hai sbagliato e non puoi rifare niente […].Entro e esco dal mondo del teatro perché correre dei rischi fa bene, soprattutto a una certa età. Perché il teatro ti dà di nuovo voglia di divertirti. È il gioco più bello del mondo (Napoli - “Il Mattino” del 18 marzo 1996).
Nel 1983 da una grande prova di recitazione nel film di Luciano Tovoli Il generale dell'armata morta.
Nel 1984, dopo diciotto anni da Ciao, Rudy, Mastroianni recita a Parigi, in francese, in Cin Cin di Billetdoux, con la regia di Peter Brook, che gli offre l’opportunità di sperimentare un nuovo modo di lavorare in teatro, per lui più congeniale e molto entusiasmante. Con l’interpretazione di Mastroianni Cin Cin viene considerato a Parigi l’evento teatrale dell’anno.
Nel 1987 torna di nuovo in teatro per realizzare un sogno accarezzato trent’anni prima: interpretare Čechov, l’autore più amato e a lui più congeniale, con Partitura incompiuta per pianola meccanica, liberamente tratto dal Platonov e altri racconti cechoviani. La riduzione teatrale e la regia sono di Michalkov, un regista considerato dai più (e dallo stesso Mastroianni) un “genio”. Lo spettacolo, indimenticabile, realizzato al Teatro Argentina di Roma con un allestimento costosissimo, rappresenta un vero e proprio successo.
Nel 1988 torna in Ciociaria, ad Arpino, paese di origine dei suoi nonni, per girare Splendor, con la regia di Ettore Scola. È in questa occasione che torna a Fontana Liri, per un doveroso omaggio al suo paese natale, da cui è stato sempre lontano per motivi contingenti, ma che più volte ha ricordato nelle interviste e nei racconti di vicende familiari, rievocando il mestiere del nonno e del padre, la casa, le pietanze, il dialetto, gli aspetti più folkloristici.
Nel 1995 subisce un intervento presso l’American Hospital di Neuilly-sur-Seine per un tumore al pancreas ma, nonostante la gravità della malattia, non si abbatte. In breve tempo torna sul set per girare Sostiene Pereira di Roberto Faenza, Cento e una notte di Agnès Varda, Al di là delle nuvole di Michelangelo Antonioni e Wim Wenders. Nel 1996 gira Tre vite e una sola morte, di Raùl Ruiz e Viaggio all’inizio del mondo, di Manoel de Oliveira.
In Portogallo, durante le pause delle riprese di quest’ultimo film, Marcello, pur tra evidenti segni di stanchezza e sofferenza per la malattia, realizza con la regia di Anna Maria Tatò, la sua compagna degli ultimi anni, il film-documentario Mi ricordo, sì, io mi ricordo, ripercorrendo come in una confessione autobiografica, in maniera appassionata e giocosa, a volte ironica, i momenti più significativi della sua vita e della sua carriera artistica.
L’ultima pagina della sua carriera di attore Mastroianni la scrive con la rappresentazione teatrale de Le ultime lune, una commedia inedita di Furio Bordon, per la regia di Giulio Bosetti. Lo spettacolo, portato avanti per due stagioni in molte città italiane (1995-96), spesso interrotto per la crudele malattia che lo stava consumando, vede Marcello “rappresentare se stesso” nelle vesti di un ex professore ottantenne che riflette con lucidità sull’emarginazione e sulla solitudine degli anziani mentre il tempo della vita si abbrevia sempre più. Il successo di questo spettacolo è travolgente. L’ultima rappresentazione, “eroica“per le sue condizioni di salute, la tiene a Napoli il 1° Novembre 1996: è stremato nel fisico e nell’animo tanto da dover recitare seduto e spesso è vinto dalla commozione per l’argomento che lo tocca molto da vicino, ma realizza una rappresentazione sublime, unica, conclusa fra applausi interminabili che accompagnano il sipario che cala per l’ultimo atto della commedia e della sua vita.
Marcello muore a Parigi il 19 dicembre 1996.
A Roma, in segno di lutto, la Fontana di Trevi, simbolo del film La dolce vita e indubbia icona del cinema italiano, resta chiusa per un giorno, silenziosa, listata a lutto con dei lunghi drappi neri per volere dell’Amministrazione comunale, mentre un’infinita sequenza di ammiratori rende omaggio alla salma, traslata nella capitale italiana ed esposta nella camera ardente allestita in Campidoglio, prima di essere tumulata nel cimitero del Verano.
Umberto Mastroianni nasce a Fontana Liri, in provincia di Frosinone, il 21 settembre del 1910. Nel 1924 si trasferisce a Roma dove frequenta lo studio dello zio Domenico e i corsi di disegno presso l’Accademia di San Marcello. Nel 1926 si trasferisce con tutta la famiglia a Torino dove frequenta lo studio di Michele Guerrisi e conosce i più importanti esponenti dei movimenti di avanguardie artistiche. Nel 1935-36 realizza le prime Mostre importanti in Italia, a Roma (Quadriennale) e a Venezia (Biennale). Nel 1946 realizza la sua prima opera monumentale importante: il Monumento al partigiano per il Campo della Gloria del cimitero monumentale di Torino.
Nel 1951 si evidenzia come artista singolare con una mostra personale presso la Galérie de France, in quel momento la più importante d’Europa ed è molto apprezzato dai critici stranieri più famosi del momento: Jean Casson, Leon Degand, Pierre Descargus, Frank Elgar. Nel 1958 ottiene il Gran Premio Internazionale per la scultura alla XXIX Biennale di Venezia. Nel 1960 realizza una mostra personale alla Kleemann Gallery di New York. Nel 1961 ottiene la cattedra di scultura all’ Accademia di Belle Arti di Bologna, di cui è anche Direttore fino al 1969. Nel 1970 è titolare della cattedra di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e in seguito presso quella di Roma. Si trasferisce quindi a Marino Laziale, nella splendida casa-museo che era già stata casino di caccia dei Principi Colonna e residenza di Alberto Moravia. Nel ventennio 1970-90 realizza i grandi monumenti, i Bronzi Urlanti:
• 1969 - Cuneo: “Alla Resistenza” (primo grande monumento del XX secolo)
• 1977 - Frosinone: “Ai Caduti di Tutte Le Guerre”
• 1980 - Urbino: “Alla Resistenza”
• 1983 - Vallerotonda (Fr): “Ai Martiri di Collelungo”
• 1984 - Fontana Liri: “Il ritorno” (posizionato nel 1993)
• 1987 - Cassino: “Mausoleo della Pace”
• 1990 - Poggibonsi: “Alla Resistenza”
• 1993 - Erice: “A Ettore Maiorana”
• 1995 - Cento: “A Guglielmo Marconi”
Nel 1973 ottiene il Premio “Antonio Feltrinelli” dell’Accademia dei Lincei e nel 1974 espone presso il “Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris”. Nel 1979 espone a Palazzo dei Diamanti a Ferrara e nel 1981 realizza un’importante mostra antologica alla Fortezza del Belvedere a Firenze. Dal 1983 espone nei più importanti musei del mondo: Usa, Buenos Aires, Messico. Tokyo. Nel 1987 regala alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ventisei opere, per lo più del periodo informale, il nucleo più importante della sua collezione. Nel 1987 dona alcune opere allo Stato Italiano esposte a Roma presso il complesso monumentale di S. Michele. Nel 1989 il Comune di Milano promuove una significativa antologica negli spazi della Rotonda della Besana. A coronamento di una prodigiosa carriera, nello stesso anno gli viene consegnato a Tokyo il “Premium Imperiale”, una sorta di Nobel del Sol Levante e gli viene dedicata una sala permanente con 12 opere al più importante Museo di arte moderna del Giappone, “The Hakone Open Air Museum”. Nel 1990 prende vita ad Arpino la “Fondazione Umberto Mastroianni” e, tre anni dopo, a Roma, il Museo Donazione, con sede nel complesso di San Salvatore in Lauro. Nel 1991 arreda con una composizione di cinque opere la Sala Conferenze della Corte d’Appello di Roma. Nel 1992 ottiene il Premio Michelangelo. Nel 1994 a Torino inaugura l’imponente lavoro bronzeo “Odissea musicale” della Cancellata del Teatro Regio. Nella notte del 25 febbraio 1998, dopo una lunga malattia, Umberto Mastroianni si spegne nella sua casa-museo di Marino. Le sue spoglie riposano presso il cimitero di Carmagnola. Le sue opere sono esposte in 3 musei italiani e in 271 importanti musei di tutto il mondo.
Nicola Parravano, scienziato e chimico di chiara fama, accademico d'Italia, nacque a Fontana Liri il 21 luglio 1883 da una delle famiglie più in vista del paese. L'ambiente familiare alimentò la sua passione innata per la Chimica: il nonno paterno e il padre (sindaci del Comune per un periodo di oltre quarant'anni) erano entrambi farmacisti e farmacista era pure il fratello Luigi, podestà dal 1926 al 1939. Nicola frequentò le scuole elementari a Fontana Liri capoluogo, Il liceo classico ad Arpino e l'Università a Roma. Ventunenne si laureò in Chimica a pieni voti e, ottenuta una borsa di studio, si trasferì a Berlino dove approfondì la sua preparazione e condusse ricerche particolarmente accurate nel campo della siderurgia, dei cementi e degli esplosivi. A trent'anni Nicola Parravano ottenne la cattedra di Chimica e Tecnologia presso l'Università di Padova e, nel 1915, quella di Chimica-Fisica (la prima istituita in Italia) presso la Facoltà di Scienze dell'Università di Firenze. Durante la prima guerra mondiale ricopri importanti incarichi nel campo degli esplosivi e fu membro della Commissione Suprema di Collaudo e Controllo degli stessi. Nel 1917 la Reale Accademia dei Lincei gli conferì il Premio Reale per la Chimica.
Nel 1919 Parravano venne nominato professore ordinario di Chimica generale e inorganica all'Università di Roma e nel 1923 assunse la Direzione della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nello stesso ateneo. Sostenitore del principio che l'industria, per potersi sviluppare e adeguare al tempi, doveva poggiare su basi scientifiche e tecniche e che era necessaria la collaborazione tra Scienza e Industria, Nicola Parravano progettò, organizzò e diresse l'Istituto Scientifico di ricerche nel campo siderurgico che Ernesto Breda, fondatore di una Società industriale tra le maggiori d'Italia, aveva in quegli anni creato a Sesto San Giovanni. Fu in seguito tra i maggiori e più qualificati organizzatori dell'Istituto Nazionale di Chimica, e quindi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e collaborò con Guglielmo Marconi che gli dimostrò sempre stima e considerazione. Fu più volte membro del Consiglio Superiore dell'Istruzione e del Consiglio Superiore della Sanità. Per questi meriti lo studioso, apprezzato in Italia e all'estero, ebbe numerosissimi riconoscimenti e ricoprì cariche di grande prestigio. Il riconoscimento al quale teneva di più, perché il più prestigioso, gli venne con la nomina a membro e poi amministratore dell'Accademia d'Italia. Nicola Parravano è autore di oltre centocinquanta monografie scientifiche. Per Fontana Liri egli dimostrò sempre piena disponibilità. Si deve anche al suo costante interessamento e ai suoi interventi, richiestigli dal fratello Luigi, allora podestà, se Il centro abitato di Fontana Liri Inferiore poté in breve svilupparsi al punto da divenire capoluogo, soppiantando l'antico centro storico. Nicola Parravano mori a Fiuggi il 9 agosto 1938, a 55 anni, e riposa al Verano; il suo nome figura accanto a quelli dei genitori Giuseppe e Alessandra Nardone, sulla tomba di famiglia posta al centro del cimitero di Fontana Liri Superiore. Presso l'Università degli Studi di Roma, al Dipartimento di Chimica, gli è stata intitolata la "Sala Parravano", a testimonianza che la memoria è sopravvissuta alla sua morte. Per la cultura, la complessa e straordinaria attività scientifica, i cospicui risultati ottenuti e le sue doti eccezionali, Nicola Parravano è considerato una delle figure più rappresentative della moderna chimica, disciplina che, a suo dire, "si alimenta anche delle conquiste e dei metodi di tutte le altre scienze e, con signorile generosità, le alimenta a sua volta". Francesco Giordani, commemorandolo il 2 aprile 1939 all'Accademia d'Italia, disse: «Egli fu un costruttore nel più ampio significato della parola: padre esemplare per la tenerezza che nutrì per i suoi quattro figli (Mariateresa, Giuseppe, Bianca e Franca) e per la moglie Gemma Vittoria; Maestro ineguagliato per la forza di propulsione che seppe imprimere agli studi chimici; amico insuperabile per generosità di giudizio e per luminosità di sorriso... Parco di lodi, prodigo di incoraggiamenti, ansioso di attrarre i migliori nel campo della ricerca scientifica, preoccupato di assicurare a tutti i mezzi necessari per il lavoro e per il perfezionamento, lottatore incapace di accomodamenti o transizioni, leale nel suo comportamento, ha operato per trent'anni nel campo della chimica durante il periodo più decisivo per lo sviluppo delle nostre attività scientifiche e industriali, aprendo le porte al soffio vivificante dei nuovi metodi di indagine e creando per primo un'atmosfera di efficace collaborazione tra scienza e industria, lasciando un'orma che il tempo non potrà cancellare.
"Romano de Roma" a pieno titolo, essendovi nato il 28 aprile 1858, "ma de passaggio", come egli stesso era solito ripetere, il poeta e scrittore Cesare Pascarella era in effetti oriundo di Fontana Liri dove avevano abitato i genitori Pasquale e Teresa Bosisio. Scrive Anton Giulio Bragaglia, nella Prefazione a " I Ciociari" di Villy Pocino, p. 10, che "Cesare Pascarella, figlio di due ciociari di Fontana Liri, diventerà poeta romano come Giovenale". Nelle sue prose intitolate In Ciociaria, Pascarella racconta che mentre era a Fontana Liri, in contrada Santo Spirito, a un ragazzo che l'accompagnava verso Santopadre e che gli chiese: "Lei, signoria, scusate, siete milordo frangese, è vero?" egli rispose ridendo: Io? Ma tu sei matto, lo sono di qua". C'è pure chi asserisce che Pascarella nacque a Fontana Liri. Achille Lauri scrive testualmente: Pascarella Cesare, di Fontana Liri. Arturo D'Innocenzo, sindaco del Comune di Fontana Liri dopo il passaggio degli Alleati e che oltretutto doveva essere amico del Pascarella se lo chiama familiarmente Cesarino, lo fa nascere a Fontana Liri, anche se, a suo dire, fu registrato in Campidoglio con la complicità di due testimoni. La tesi non convince, perché il padre di Cesare, oriundo di Fontana Liri, da vari anni si era trasferito a Roma dove gestiva una rivendita dì sali e tabacchi, all'angolo di Via dei Portoghesi con Via della Scrofa, non distante dalla propria abitazione. Per la sua irrequietezza Cesare fu messo in seminario a Frascati da dove scappò appena dodicenne. A diciotto anni, abbandonati gli studi, si dedicò alla pittura e al disegno: entrò a far parte dell'Associazione artistica Venticinque pittori della Campagna romana e condusse, da vero bohémien, una vita stravagante. Oltre che pittore (aveva fra l'altro conseguito anche il diploma presso l'Accademia delle Belle Arti), pittore di poco conto, però, "pittore di asini", come egli stesso usava ripetere, Pascarella fu letterato e si fece apprezzare come prosatore, giornalista e conferenziere. Cultore della poesia dialettale, è considerato il maggior poeta romanesco del tempo. Le sue prose, le poesie e alcuni disegni, pubblicati a puntate sul Capitan Fracassa, sulla Nuova Antologia, sul Fanfulla e sul Fanfulla della domenica nel decennio 1880-1890, gli procurarono improvvisa e notevole fama. Le prose dal titolo In 0ociaria, pubblicate in quattro puntate sul Capitan Fracassa nel 1882 e come opera a sé nel 1914 a Napoli, narrano di alcuni suoi viaggi in terra ciociara e sono quelle che più da vicino ci riguardano, poiché Fontana Liri è il primo paese che il poeta raggiunge con 'Il legno" di Ciccantonio, vetturino quantomai spassoso e singolare, che dalla stazione dì Ceprano lo accompagna al nostro paese. Nel racconto Pascarella accenna minuziosamente alla "Zulufràga", alla "Fossa agliu mont", al viaggio effettuato a dorso d'asino attraverso le nostre contrade per recarsi a Monte S. Giovanni Campano in occasione della festa della Madonna del Suffragio, all'altro viaggio a piedi da Fontana Liri a Santopadre, passando per la contrada Santo Spirito. Pascarella ha dentro di sé sangue ciociaro, anche se la Ciociaria lo lascia per lo più indifferente: non si entusiasma, né sì commuove di fronte alla genuinità e alla semplicità dei costumi, delle usanze, degli atteggiamenti e dei sentimenti della nostra gente e mette in risalto, con fine umorismo, i discorsi vuoti, l'ignoranza, la superstizione e le battute ingenue e sempre sgrammaticate del contadino di qui, nei cui confronti assume un'aria distaccata e di manifesta sufficienza. Ciò nonostante Fontana Liri è fiera di questo poeta che, figlio di un fontanese, ebbe rapporti culturali e di amicizia con i maggiori artisti e letterati del suo tempo. Godette pure, in particolare, dell'amicizia di Giosuè Carducci, che affermò: "Non mai poesia di dialetto italiano era salita a quest'altezza". Giuseppe Verdi volle che quelle poesie gli fossero lette dallo stesso poeta e, alla fine della lettura, lo abbracciò commosso. Pascarella fu amico anche di Gabriele D'Annunzio e di Edoardo Scarfoglio, coi quali fece un viaggio in Sardegna, ed ebbe rapporti con Luigi Pirandello, Marino Moretti, Leo Longanesi, Emilio Cecchi e tantissimi altri artisti e scrittori. Appartenente a numerose Accademie, nel 1930 fu nominato membro della Reale Accademia d'Italia. Dopo una vita quasi completamente trascorsa nella spensieratezza e in allegra compagnia di artisti e amici, e dopo un lungo girovagare per il mondo, Cesare Pascarella si ritirò nella più completa solitudine e si spense l'8 maggio 1940, a ottantadue anni. I manoscritti, i disegni e i documenti che lo riguardano sono custoditi nella biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Nato ad Arce nel 1920 da Pasquale, di antica famiglia fontanese, e Domenica Fraioli. Diplomatosi all’Istituto Magistrale Statale di Pontecorvo, si iscrisse alla Facoltà di Lingue dell’Istituto Orientale di Napoli che frequentò finché non fu chiamato alle armi per lo scoppio della seconda guerra mondiale. È stato insegnante per tanti anni nelle Scuole Elementari di Fontana Liri (insieme alla consorte Felicia) e amministratore comunale ininterrottamente dal 1956 al 1975 come assessore e vicesindaco e dal 1975 al 1980 come sindaco. È autore del volume "Fontana Liri due centri – una storia", pubblicato nel 1988 e, in seconda edizione, nel 2000. Il volume, frutto del suo notevole amore per il paese, costituisce un’ampia e attenta ricerca storica su Fontana Liri, dai primi insediamenti ai nostri giorni: descrive e documenta ampiamente oltre che gli eventi storici, anche gli aspetti economici, sociali, culturali della vita locale, come gli usi, i costumi e le tradizioni popolari, la nascita del Polverificio, l’arrivo della ferrovia, la presenza delle chiese, i personaggi illustri.
Nel maggio 2014, in occasione del 70° anniversario della Liberazione di Fontana Liri, ha pubblicato "Il dramma di un paese - Fontana Liri 25 luglio 1943 – 29 maggio 1944", memoria storica scritta per i suoi nipoti, nella quale ha rievocato- nel contesto delle sue esperienze personali e familiari - le vicende, le sofferenze, le emozioni e le ansie vissute dal paese in quel periodo di guerra. Amico di Umberto Mastroianni, è stato testimone del “ritorno” dello scultore nel suo paese natale al quale ha donato la scultura in bronzo "Il ritorno", collocata in Piazza Trento. Generoso Pistilli è morto il 3 agosto 2015.